Inattesa scoperta suggerisce una causa di Parkinson sporadico

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 28 novembre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

La malattia di Parkinson, che si manifesta con l’arcinota sintomatologia motoria caratterizzata da bradicinesia, acinesia, tremore a riposo (4-6 Hz), rigidità cerea e postura flessa[1], è una patologia neurodegenerativa progressiva che interessa maggiormente e primariamente la componente nigro-striatale che ha origine dai neuroni dopaminergici della parte compatta della substantia nigra del mesencefalo, al cui interno prima della morte cellulare si riconoscono inclusioni eosinofile dette corpi di Lewy. La malattia di Parkinson è spesso classificata come disturbo ipocinetico del movimento da patologia dei nuclei della base del telencefalo (c. d. “gangli basali”), perché la degenerazione della via nigro-striatale che forma sinapsi con i neuroni del putamen e del caudato (c. d. nucleo striato) compromette importanti processi di regolazione che sono mediati da questi aggregati di neuroni cerebrali. Si è calcolato che l’evidenza clinica della malattia si ha quando oltre il 70% della dopamina striatale è andata perduta, a causa di una perdita di circa il 50% dei neuroni della parte compatta della substantia nigra.

Le forme del tutto geneticamente determinate probabilmente non raggiungono il 10% del totale che, per oltre il 90%, sembra essere costituito da casi in cui la predisposizione genetica agisce in combinazione con fattori ambientali che avrebbero un peso decisivo nell’espressione clinica della malattia. A dispetto di una patogenesi del danno conosciuta da vari decenni e di una intensa attività di ricerca che fornisce sempre nuovi contributi di conoscenza, l’eziologia della forma idiopatica della malattia di Parkinson rimane oscura.

In questo mese di novembre, Dovero, Gross e Bezard hanno proposto in anteprima, attraverso la rivista Synapse che pubblicherà il testo del loro studio in uno dei prossimi numeri dell’edizione cartacea, un’ipotesi fondata su una scoperta del tutto casuale (Dovero S., et al. Unexpected toxicity of very low dose MPTP in mice: A clue to the aethiolgy of Parkinson’s disease. Synapse    Epub ahead of print doi:10.1002/syn.21875, 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Università di Bordeaux, Istituto di Malattie Neurodegenerative, UMR 5293, Bordeaux (Francia); CNRS, Istituto di Malattie Neurodegenerative, UMR 5293, Bordeaux (Francia).

Studi epidemiologici hanno identificato vari fattori ambientali in suggestivo rapporto con lo sviluppo della malattia, come il vivere in aree rurali, bere acqua di pozzo, essere esposti a pesticidi, aver sofferto di un trauma cranico. Al contrario, la stima epidemiologica ha attribuito una riduzione del rischio all’assunzione di farmaci anti-infiammatori non steroidei, ma anche alla caffeina e al tabacco. Gli studi epidemiologici, però, per loro natura forniscono solo una valutazione cosiddetta di rischio, desunta mediante criteri di associazione che escludono la casualità, senza alcuna prova di nesso causa-effetto; pertanto, i loro risultati non vanno oltre i suggerimenti da porre al vaglio della ricerca eziologica.

Forme di parkinsonismo esclusivamente dovute a cause ambientali sono rare. Nei libri di testo è trattato il parkinsonismo post-encefalitico e, in genere, si cita l’epidemia virale dell’inizio del XX secolo, che causò un’encefalite interessante il tronco encefalico e, in particolar modo, il mesencefalo[2].

Altre forme ugualmente rare di sindromi parkinsoniane dovute a cause ambientali sono quelle derivate dall’esposizione a tossine quali la MPTP (1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina). La prima volta che questo composto è stato individuato quale causa di neurodegenerazione nigro-striatale risale ad un episodio verificatosi negli anni Ottanta, quando un gruppo di tossicodipendenti lo assunse accidentalmente quale scoria derivante dalla sintesi di un analogo della meperidina.

La MPTP è in realtà una pro-tossina lipofilica in grado di superare la barriera emato-encefalica ed entrare nell’encefalo, dove la glia la converte nella tossina attiva o MPP+ (1-metil-4-fenil-piridina), che è un substrato di DAT (dopamine trasporter) nei neuroni dopaminergici. La presenza di DAT nei terminali sinaptici dei neuroni della parte compatta della substantia nigra mesencefalica, sembra essere la causa della selettiva vulnerabilità di queste cellule.

I meccanismi della tossicità di MPP+ sono stati indagati, ed è risultata un’articolata azione nociva, al centro della quale sembra esservi l’inibizione del complesso mitocondriale I. L’esposizione di persone e primati sub-umani alla tossina causa un parkinsonismo subacuto con molti caratteri clinici della malattia canonica. L’esame autoptico del cervello delle persone che hanno accidentalmente assunto il composto ha però rivelato una differenza istopatologica. A fronte di una perdita quasi completa dei neuroni dopaminergici della parte compatta della substantia nigra del mesencefalo, non si è rilevato alcun segno della degenerazione a corpi di Lewy.

Dovero e colleghi osservano che la scoperta della capacità della neurotossina MPTP di indurre una sindrome molto simile al parkinsonismo, ha introdotto l’ipotesi della “tossina ambientale” nell’eziologia dei casi non familiari di malattia di Parkinson. Lo scetticismo di molti, circa questa possibilità eziopatogenetica, è suffragato dal dato di un mancato riscontro autoptico nel cervello dei pazienti che è stato possibile studiare post mortem di qualsiasi sostanza tossica nota a qualsiasi dose. In altre parole, nessuno studio inteso a trovare una prova a supporto di questa ipotesi ha trovato una sia pur debole traccia.

Gli autori di questo studio, inaspettatamente hanno rilevato, nel topo, che dosi bassissime di MPTP inducono tante morti cellulari di neuroni dopaminergici quante ne induce un’altissima dose. Come è possibile? Dovero e colleghi hanno scoperto che, a dosi estremamente basse, i meccanismi cellulari di disintossicazione del neurone dopaminergico vengono invalidati.

Su questa base si può presumere che la presenza a stento rilevabile chimicamente di neurotossine non identificate in precedenza, anche perché operanti attraverso questo meccanismo ancora sconosciuto, possa essere all’origine di molti casi di malattia di Parkinson.

 

L’autore della nota invita alla lettura delle numerose recensioni sulla malattia di Parkinson che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-28 novembre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Oggi si tende a definire “parkinsonismo” la sindrome motoria, abbastanza fedelmente riprodotta nei modelli sperimentali. La malattia umana presenta però altri segni e sintomi, quali depressione, declino cognitivo, apatia, disturbi del sonno e disfunzioni neurovegetative, che costituiscono una rilevante fonte di disabilità. Cenni clinici sulla malattia di Parkinson sono stati riportati in molte altre recensioni, alle quali si rimanda il lettore.

[2] In quell’epidemia fu sperimentata la terapia con L-Dopa, poi divenuta uno standard in associazione con inibitori periferici della decarbossilasi.